Formazione 4.0: è necessario per tutti adottare il digital?

Il Covid19 ha messo a dura prova tutti, nessuno escluso: dagli imprenditori ai lavoratori, dai docenti agli studenti, i liberi professionisti così come le casalinghe.

Ci siamo ritrovati ad utilizzare più che mai strumenti tecnologici ed app e anche chi non era molto avvezzo alla tecnologia è arrivato alla conclusione che è necessario aggiornarsi per stare al passo coi tempi.

Una vera e propria rivoluzione digitale: ci ha coinvolti tutti, indistintamente.

L’emergenza Covid ha velocizzato i processi di innovazione per troppo tempo impantanati, tenendo fede ai processi storici: negli ultimi millenni le malattie e le guerre sono state sempre acceleratori dei processi d’innovazione.

E così, nel 2020, il digitalnon è più un orfano alla ricerca di qualcuno che lo adotti ma è stato accolto in tutte le case.

Il problema è che l’arretratezza digitale non è del tutto scomparsa e ci sono ancora realtà e lavoratori che fanno fatica ad effettuare l’upgrade delle loro conoscenze tecnologiche.

L’OCSE nel 2017, attraverso un Rapporto per una Strategia delle competenze, invitava l’Italia a creare competenze per competere evidenziando la nostra difficoltà a completare la transizione verso una società dinamica. Invitava le imprese che vogliono essere competitive ad estendere e aggiornare, come obiettivo prioritario, le competenze dei lavoratori. 

Inoltre, da un’indagine degli adulti, è emerso che i lavoratori italiani possiedono un basso livello medio di competenze. In particolare, nel confronto con gli altri paesi i lavoratori italiani mostrano buoni livelli di competenza riguardo alla “rapidità d’apprendimento e problem solving”. Ciò suggerisce che, in Italia, politiche mirate di istruzione e formazione della forza lavoro – che siano anche coordinate tra di loro – potrebbero favorire un uso più intensivo di elevate competenze sul posto di lavoro.

Attualmente l’Italia però è intrappolata in un low-skills equilibrium, un basso livello di competenze generalizzato: una situazione in cui la scarsa offerta di competenze è accompagnata da una debole domanda da parte delle imprese.

Accanto a molte imprese, relativamente grandi, che competono con successo sul mercato globale, ve ne sono tante altre che operano con un management dotato di scarse competenze e lavoratori con livelli di produttività più bassi rispetto agli standard di altri paesi europei. Modesti livelli di skills dei managers e dei lavoratori si combinano con bassi investimenti in tecnologie che richiedono alte competenze dei lavoratori e, a questo si aggiunge una scarsa adozione di pratiche di lavoro che ne migliorino la produttività.

Questo genera un circolo vizioso. Tale dinamica è in parte spiegata dal modo in cui il lavoro viene progettato e concepito, e dal modo in cui le imprese sono gestite. In Italia, le imprese a gestione familiare rappresentano più dell’85% del totale, e circa il 70% dell’occupazione del Paese. Ma i manager delle imprese a gestione familiare spesso non hanno le competenze necessarie per adottare e gestire tecnologie nuove e complesse. La Strategia per le Competenze dell’OCSE propone un quadro strategico per affrontare il basso equilibrio delle competenze (low skills equilibrium) in cui si trova l’Italia.

La strategia è fondata su quattro pilastri:

  • sviluppare competenze rilevanti;
  • attivare l’offerta delle competenze;
  • utilizzare le competenze in modo efficace e
  • rafforzare il sistema delle competenze.

All’interno di questo quadro, l’OCSE ha identificato dieci sfide per competenze per l’Italia.

E così il governo italiano ha varato un ambizioso pacchetto di riforme. Queste riforme compongono una strategia di lungo periodo, che comprende lo sviluppo e l’attuazione di politiche di promozione delle competenze.

Il cosiddetto “learning by doing”, la formazione continua e permanente, è la leva principale per la riqualificazione e non a caso è uno dei pilastri del piano nazionale Impresa 4.0 promosso dal Governo.

Siccome gli investimenti in formazione e conoscenza da parte delle imprese possono essere ostacolati dall’incertezza del ritorno economico, ecco allora che entrano in gioco interventi pubblici per incentivare gli investimenti, come il credito d’imposta per la formazione 4.0. che permette al datore di lavoro di investire in conoscenza e quindi scommettere sul capitale umano.

Le statistiche dell’Eurostat ci dicono che l’Italia presenta una percentuale di lavoratori che partecipano a corsi di formazione inferiore di circa 2,5 punti percentuali rispetto alla media dei paesi membri dell’Unione. Tanto che, e qui entrano in campo i dati Istat elaborati dall’INAPP, il 60% delle imprese attive in Italia, nel 2015, ha svolto attività di training professionale confermando purtroppo il solito divario Nord – Sud (oltre due terzi delle aziende nel Nord-Est è più attiva sulla formazione, rispetto alle imprese collocate al Sud).

Per questo la misura del credito d’imposta costituisce un mezzo anche per riequilibrare le disparità sul territorio e per fornire nuove risorse economiche a tutto il tessuto imprenditoriale e quindi a tutti i lavoratori dipendenti.

Segno che, in una situazione di continua evoluzione del lavoro, la formazione vince.

Ecco che questo shock, causato dal Covid, di pausa forzata deve essere investito nella riprogettazione della catena del valore, e perché no, sfruttando gli incentivi previsti nel piano industria 4.0.

In questo momento, diventa infatti fondamentale reagire rapidamente ai cambiamenti, in un contesto di mercato ad oggi completamente imprevedibile e probabilmente molto diverso da quello che conosciamo e possiamo prevedere. È necessario per tutti adottare il digital e farlo bene.

Ed è qui che subentra CertForm. Da sempre vicina alle aziende, attraverso la consulenza e la formazione, nella crescita finalizzata sempre ad innalzare la competitività e, di conseguenza, la produttività. Quella che poteva essere solo un’opportunità, ovvero la formazione prevista dal Piano Industria 4.0, oggi è una necessità. Ed è per questo che possiamo supportarvi in questa trasformazione tecnologica e digitale, sia organizzativa che delle risorse umane, partendo dall’analisi del fabbisogno di competenze informatiche all’erogazione della formazione e alla ridefinizione dell’intero ecosistema aziendale.

Il rallentamento generale attuale lascia il tempo a tutti per riflettere sul proprio DNA: capire come poter crescere per il futuro. Perché domani è oggi e non bisogna sprecare tempo ma dedicarsi al miglioramento.

Condividi su:

Lascia una risposta